Nord Est, giovani, prospettive

Nord Est, giovani, prospettive. Il lavoro di conoscere – Articolo

apparso sul Corriere del Veneto il 22 gennaio 2005

Durante la protesta avvenuta a Roma giorni or sono, gli insegnanti si sono definiti come “lavoratori della conoscenza”. L’evento contribuisce ad introdurre nel lessico e nella prassi sindacale una classificazione importante, quella – appunto – di lavoratore della conoscenza.

Il fenomeno riguarda in pieno il Nord Est, dato che i knowledge workers costituiscono una componente essenziale d’ogni società che fondi la propria produzione su saperi specifici, cosa che presto anche per il Nord Est sarà inevitabile.

Negli anni ’90 si cominciò a chiamare knowledge workers il gruppo umano che svolgeva attività basate su tali saperi, traendone i mezzi di vita e le funzioni; esso era caratterizzato dal ricorso costante ai principi fissati dalle scienze, dal requisito dell’autonomia, e da un’etica incorporata in codici etici.

L’identità sociologica dei knowledge workers è stata definita (soprattutto nei paesi anglosassoni) in una progressione che può essere riassunta come segue:

In una prima fase si è pensato vi rientrassero i professionisti appartenenti a professioni riconosciute (architetti, ingegneri, giornalisti, avvocati, medici, biologi, economisti, matematici, farmacologi, geologi, veterinari, commercialisti, astronomi, ecc.); gli addetti a funzioni superiori nei grandi servizi come la difesa, l’istruzione, la ricerca, la formazione, la comunicazione, ecc.; i managers dell’industria e del sistema finanziario dotati di preparazione specifica; infine i docenti universitari e i livelli medi o alti dell’insegnamento e della formazione.

Dopo la pubblicazione del libro di Richard Florida “The rise of the creative class” (2002), la definizione è stata allargata ai “creativi” – come scrittori, pubblicisti, registi, sceneggiatori, editori, artisti, designers, stilisti, illustratori, ecc., – e in genere a coloro che attraverso la propria inventività migliorano la vita civile e produttiva.

Si profila ora un nuovo allargamento della categoria che può essere molto importante: riguarda gli “imprenditori illuminati”, quelli che hanno compreso che una produzione valida presuppone un’efficace ricerca e idee innovative. Tale species da noi non è ancora molto estesa, ma la necessità di far leva sulle scienze per fronteggiare la sfida cinese lascia pensare che presto vi sarà anche da noi una trasformazione dell’imprenditore in un senso cognitivo.

Il gruppo dei knowledge workers è in evidente ascesa: la società non può rinunciare al contributo che esso dà allo sviluppo. Non è eccessivo pensare che dal loro intervento nei meccanismi portanti della società derivi il notevole potere che essi stanno acquisendo, capace – forse – di modificare in meglio il capitalismo, conferendogli valori (fondati sulla cultura) più alti di quelli strettamente speculativi che ora lo connotano.

Per quanto riguarda l’Italia (e naturalmente il Nord Est), occorre mettere in chiaro una cosa: è pericoloso ostacolare l’ascesa dei knowledge workers e deprimere categorie come gli insegnanti, gli educatori, i sanitari, gli ingegneri, i chimici, ecc.: occorre invece aiutarli e, per la parte di essi che ha un lavoro subordinato, garantire a questi attori sociali uno stipendio adeguato alla vita d’oggi. Occorre inoltre far capire ai giovani che è importante diventare lavoratori della conoscenza, perché ciò significa essere legittimati a entrare nella parte più viva dell’economia e della vita civile.

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