AVVOCATI E CLIENTI – UN RAPPORTO IMPORTANTE NELLE DEMOCRAZIE LIBERALI

Questo articolo si propone di rispondere alla domanda: qual è il rapporto più importante che gli avvocati tengono col mondo esterno? La mia risposta è la seguente: il rapporto con il CLIENTE, che nell’esercizio professionale viene prima di tutti gli altri, cioè dei rapporti con il giudice, con la pubblica amministrazione, con i colleghi, con l’opinione pubblica e così via. Pubblicai nel lontano 1967 la prima inchiesta sociologica sulla professione di avvocato (Gli avvocati italiani. Inchiesta sociologica, Ed. Comunità 1967) e già da quella ricerca emergeva l’importanza primaria che per ogni avvocato ha la relazione col cliente,  complessa e spesso conflittuale, ma di radicale rilievo  per chi voglia fare la professione forense. L’acquisizione dei clienti ha per ogni avvocato un rilievo essenziale, perché senza clienti la professione non ha alcuna possibilità di attuarsi e di accompagnare il professionista per una vita. Per tale motivo la conquista d’ una clientela è per l’avvocato un leitmotiv impegnativo, spesso fonte di angoscia, di preoccupazioni o perfino di perplessità se continuare o meno la professione o sceglierne un’altra. La ricerca dei clienti è per molti legali qualcosa di problematico e di avventuroso quando si svolga a livello d’un esercizio individuale o associato. Assume un carattere diverso nell’esercizio svolto nei grandi studi formati talvolta da decine o centinai di avvocati. Ricordo l’importante studio di E.O Smigel, The Wall Street Lawyer,  pubblicato a New York nel 1964. L’autore poneva la domanda se gli avvocati esercenti nel grande studio attuassero davvero la “libera” professione legale o se la loro autonomia andasse sostanzialmente perduta. Nel grande studio legale, apparso in Italia molto tardi rispetto all’America, il rapporto principale non è infatti con il cliente ma con l’organizzazione dello studio che  ne definisce le strategie idonee  a rendere lo studio stesso apprezzato e importante. In Italia, ripeto, la forma “grande studio” si è sviluppata tardi, ma anche da noi ha suscitato il problema sopra indicato, attenuato, credo, dalla modesta numerosità dei componenti.

Come pure quando l’avvocato abbia un unico cliente al quale dedica tutta la sua attività. In questo caso ritengo che la caratteristica storica della professione di essere “libera” subisca dei limiti dovuti alle esigenze del cliente che tende a subordinare a sé il professionista.

La figura del cliente assume nelle democrazie liberali un rilievo costituzionale perché implica la difesa da parte dell’avvocato degli interessi dei cittadini intesi come membri d’una comunità nella quale ogni cittadino ha diritto di essere difeso con i mezzi tecnici più appropriati. In questa logica si pone anche la difesa d’ufficio, cioè un avvocato nominato dal sistema giurisdizionale e per tale motivo non sempre impegnato sufficientemente nella difesa.

So bene che le affermazioni appena formulate possono determinare la diffidenza di coloro che guardano la professione dall’esterno ma il dovere  dell’avvocato è questo: tutelare nei limiti del lecito e del diritto vigente la posizione dei clienti. Se trascura o perde tale funzione l’avvocato rinnega la propria vocazione, si sottrae a un dovere primario. Gli interessi dei patrocinati si confrontano continuamente e spesso confliggono tra loro. La dialettica processuale riguarda tale conflitto, ma anche quella contrattuale e consulenziale. Proprio perché mediati da un apparato giurisdizionale, gli interessi possono comporsi in una maniera non gravemente conflittuale e cioè sfociante nella violenza. Le procedure – civile, penale e amministrativa – sembrano create per attuare questo scopo, perché garantiscono al cittadino una tutela attuata attraverso regole precise controllate dal giudice.

Sorge qui il tema della “bravura” degli avvocati, cioè del saper svolgere ad alto livello questa tutela, cosa che esige non solo una preparazione teorica ma anche una pratica acquisita sul campo. La pratica legale investe largamente tale aspetto, e non s’impara in sede astratta, ma vivendo con intelligenza soprattutto il rapporto con il cliente. Spesso si dicono malignità sulla bravura degli avvocati, sulle loro capacità di convincere, sull’abilità delle loro impostazioni difensive, sul saper profittare degli errori degli avversari, ecc., ma bisogna convenire che queste qualità costituiscono elementi essenziali del funzionamento della giustizia e rendono possibile la protezione degli interessi individuali anche quando questi sono gravemente contrapposti. E tale confronto rende possibile la definizione pacifica delle controversie che senza il sistema della tutela legale sarebbero per il sistema stesso distruttive.

Novembre 2018