Commento al saggio di Edward O. Wilson LE ORIGINI DELLA CREATIVITA’ – Raffaello Cortina Editore, 2018

Edward O. Wilson, professore emerito di biologia alla Harward University, pubblica il saggio The Origin of Creativity (2017) di cui mi occuperò in questo articolo perché riguarda uno dei concetti chiave del nostro tempo. La traduzione viene proposta nella collana Scienze e idee diretta da Guido Giorello per l’editore Raffaello Cortina.

La prosa di E.O. Wilson non è di facile comprensione e forse neppure le idee sono così chiare da impedire errori di interpretazione. Wilson definisce la creatività come “il carattere distintivo della nostra specie ed ha come fine ultimo la comprensione di noi stessi, che cosa siamo, come siamo diventati così, e quale destino, se esiste, determinerà le tappe future della nostra traiettoria storica”. Conclude sostenendo che si sono succeduti alcuni periodi che l’autore chiama illuministici. Il primo risalirebbe all’età di Socrate e di Platone, il secondo dal 1630 fino alla rivoluzione francese con uomini come Cartesio, Hobbes, Spinoza, Locke, Leibnz, Hume, Rousseau e Voltaire. Un terzo illuminismo sarebbe alle porte, nella nostra epoca quando scienziati e umanisti lavoreranno insieme per un salto di qualità rispetto al periodo che sta tra la rivoluzione francese e noi.  Par di capire che questo illuminismo porterebbe ad una interpretazione piuttosto ottimistica del futuro largamente basata sulla collaborazione fra scienze umanistiche e sperimentali.

A mio parere sintesi ideali come questa sono di poca utilità per interpretare le fasi della cultura umana e non giovano granché per capire dov’è giunto il ventunesimo secolo quando in realtà la scienza è più avanti della cultura umanistica e filosofica, la quale non riesce a dire com’è fatta la realtà, il che invece riesce alla scienza contemporanea.

La concezione delle creatività di Wilson ha un carattere nettamente antropologico, riguarda cioè tutti i progressi ideativi e comportamentali che la specie umana ha prodotto lungo la sua evoluzione. Questa concezione è rispettabile ma non è adatta a spiegare la creatività che è emersa come componente importante dell’economia e della produzione negli anni novanta del ventesimo secolo. Quest’ultima riguarda non l’antropologia generale ma le esigenze produttive d’ un’ economia competitiva che negli anni novanta, appunto, è emersa prepotentemente nel mondo. Questa, credo, è la creatività che per noi conta, perché riguarda una parte essenziale della competizione economica oggi vigente.

Pongo una domanda: sono più rilevanti per la trasformazione del mondo eventi come la scoperta delle cellule staminali, quella che c’è acqua su Marte, le tecniche dei gasdotti e degli acquedotti, l’avvento d’una tecnologia che viene definita 5 G (connessione  dati di nuova generazione che sarà disponibile dal 2020), la diffusione dell’auto elettrica a livello mondiale, le nuove tecniche chirurgiche, ecc. o la presunta comparsa d’ un nuovo illuminismo? Tutto questo a mio parere travalica di molto l’enunciazione di un terzo illuminismo che Wilson sostiene veniente.

E’ tempo forse quando si parla di avanzamento delle cultura attenersi ai fatti, cioè ai “risultati” che derivano da certi eventi che appaiono nella cultura stessa. La creatività è uno dei fattori che fanno fare dei passi avanti alla condizione umana perché accresce la possibilità di vivere meglio risolvendo dei problemi che in tempi passati erano irrisolti.

Vi sono attualmente molte aree del mondo sulle quali è possibile un  intervento migliorativo. Alcune sono dovute anche ai mutamenti del clima, per esempio la coltivazione di vaste aree della Siberia o dell’Africa desertificata. Nel caso di quest’ultima è forse possibile tentare la fertilizzazione di certe zone con la creazione di acquedotti partenti dai grandi bacini esistenti. Opere gigantesche ma che possono essere tentate con le nuove tecnologie. E’ forse anche possibile fare interventi sulla meteorologia, sulla dispersione delle nubi foriere di grandine, ecc. Tutto questo per dire che non mancano i settori d’intervento che possono essere migliorati attraverso tecnologie appropriate e progetti intelligenti. Lo sviluppo tecnologico si rivela essenziale per ottenere risultati fino ad oggi ritenuti impossibili. Tale prospettiva trascende di molto il problema del rapporto tra cultura umanistica e cultura tecnologica su cui si sofferma E. O. Wilson e sottolinea l’importanza della tecnologia per il miglioramento della condizione umana.

Mi sovviene l’ormai lontana opera del filosofo pragmatista americano John Dewey nella nota opera Logic. The Theory of Inquiry, 1938.  Dewey dice che i problemi nascono dalla presenza di bisogni insoddisfatti. Di fronte a un bisogno che provoca insoddisfazione e dolore l’uomo cerca di trovare delle soluzioni e in questo modo fa sviluppare la cultura.  Legando il concetto di creatività a questo semplice paradigma si ha un’idea  della creatività stessa molto più concreta di quella proposta da Wilson. Alla fine, infatti, si può pensare che la nozione di creatività  sia connessa ai bisogni umani, qualcosa che fa cessare una sofferenza, un disagio che colpisce l’uomo in un dato momento della sua storia. La ormai lontana interpretazione di Dewey soddisfa a mio parere l’esigenza di definire la creatività  meglio di quanto faccia l’interpretazione di Edward O. Wilson.

Novembre 2018