DANTE ALIGHIERI RIVISITATO. L’UMANIZZAZIONE DEL GRANDE POETA

Di Dante giovane conoscevo il ritratto che ne ha fatto Marco Santagata nel romanzo Come donna innamorata, pubblicato da Guanda Editore nel 2015. Santagata porta l’attenzione del pubblico su un aspetto altro rispetto alla venerazione agiografica data da critici e letterati al personaggio. Per esempio sul rapporto tra il giovane Dante e Guido Cavalcanti, più anziano di lui, ricco e poeta-filosofo riconosciuto, che trattava Dante con sufficienza e gli rivelava che l’amore non è quello che il poeta esordiente pensava ma vera “sofferenza” dello spirito. Dante era solo il figlio d’un modesto usuraio, Guido il rampollo d’una famiglia aristocratica e personaggio già famoso. Altro esempio: l’incontro di Dante giovane con Bice Portinari, la donna per la quale l’Alighieri scrisse Vita Nova, sposata poi con Simone Dei Bardi e morta nel 1290. Ancora: il padre di Dante vorrebbe fare di lui un commerciante, ma Dante incontra Brunetto  Latini che gli rivela la cultura classica e la filosofia del tempo.

Domanda: quella di narrare Dante giovane in un romanzo è stata un’operazione meritoria o un affronto fatto al grand’uomo da tutti riconosciuto come tale? A mio parere la risposta è che si è trattato di un’alternativa geniale,  perché fa conoscere Dante giovane come persona, con le sue debolezze, impacci, epilessia, senso d’inferiorità e così via. Il che ci fa capire chi egli fosse veramente al di là delle celebrazioni convenzionali posteriori.

Ecco ora il saggio di Chiara Mercuri  Dante. Una vita in esilio (Laterza, 2018). In quest’opera viene descritto con dovizia di particolari l’esilio di Dante dopo la presa di potere su Firenze di Corso Donati, capo dei Neri, alleato con papa Bonifacio VIII. Siamo nel 1301. Dante appartiene alla fazione opposta ed è stato priore. Dopo vari tentativi falliti di rientrare in Firenze, Dante è costretto all’esilio. Una decina di anni dopo il poeta descriverà così nella Commedia – Paradiso XVII 55-69  – la crudele natura dell’esilio:

Tu lascerai ogni cosa diletta

più caramente e questo è quello strale

che l’arco dello esilio pria saetta.

Tu proverai  di come sa di sale

lo pane altrui e come è duro calle

lo scendere e salir per l’altrui scale.

Conosciamo ora quella fase della vita di Dante che Mercuri tratta con molta efficacia, e che considera il poeta come uomo nel suo disagio interiore di fronte alla sventura che lo ha colpito. Da questo travaglio nasce la Divina Commedia. In ciò sta l’originalità del saggio, aver desunto dal dolore di Dante esiliato la grande opera poetica.

Chi fu dunque Dante visto in questa luce? Un uomo che scelse “un tipo d’impiego che lo mantenesse all’interno del suo ambiente, nelle corti, dov’era in grado di fornire conoscenze erudite, di redigere lettere in latino e di imbastire relazioni diplomatiche” (pag. 83). Da ciò deriva secondo Mercuri la situazione in cui Dante viene a trovarsi, d’ essere cioè a servizio di potenti famiglie che lo ospitano per quel tipo di prestazioni, appunto, mantenendo però una propria dignità intellettuale. La prima famiglia fu quella dei Malaspina di cui era a capo Moroello Malaspina. In questa fase Dante concepisce un disegno di tale importanza, la Commedia,  che a suo giudizio una volta conosciuta, costringerà Firenze a richiamarlo dall’esilio. Si getta nell’impresa titanica con l’intenzione di dimostrare che è veramente un sapiente il quale rivendica a se stesso una stima che  risolve l’infelice stato in cui si trova. Presso Moroello Malaspina, Cangrande della Scala (Dante starà presso questo potente dal 1316 al 1318) e i da Polenta a Ravenna, dove il poeta risiederà fino alla morte avvenuta nel 1321.

Non possiamo che essere grati a Marco Santagata e Chiara Mercuri di avere descritto la personalità giovanile e matura dell’uomo Dante Alighieri perché da questa  è derivata l’opera più importante della nostra letteratura, e possiamo leggerla senza l’ipoteca posta su essa dalla critica ufficiale.

Dicembre 2018