TRIONFO E CRISI DELL’AUTOBIOGRAFIA

L’autobiografia è la narrazione della propria vita fatta da un soggetto che vuole rivelare se stesso alla società e al mondo. E’ un genere letterario di cui si può seguire la fenomenologia fino ai giorni nostri.

Questo articolo si propone di tratteggiare quest’ultima a partire dall’età romantica. La mia tesi è che ai giorni nostri è divenuto difficile e rischioso proporsi al pubblico in forma autobiografica e che spesso ciò avviene per pura e semplice vanità.

Nell’età romantica molti scrittori si esprimono in forma autobiografica. Chateaubriand scrive Mémoires d’outre tombe, vasto progetto autobiografico, Ugo Foscolo parla della propria soggettività ne Le ultime lettere di Jacopo Ortis. Romanzi importanti come  I dolori del giovane Werter e Wilhelm Meister scoprono la personalità di Goethe  e le sue vicende personali. Casanova nell’ultima parte della sua vita detta I mémoires. Massimo D’Azeglio pubblica I miei ricordi in cui espone se stesso senza paura. Thomas Carlyle vede nell’eroe il protagonista e l’ispiratore della storia pensando a se stesso. Coloro che dettano simili autobiografie sono in genere letterati, scrittori o artisti che trovano del tutto naturale raccontare la propria vita ad un pubblico che quasi certamente li capirà.

Il XX secolo pone l’autobiografia a disposizione del capo politico. I dittatori e gli “eroi” di quel secolo si autoraccontano per imporre se stessi alle folle. Adolf Hitler scrive Mein Kampf per spiegare al mondo la propria missione. L’autobiografia passa nelle mani di seduttori delle masse e ne incarna gli scopi. Gustave Le Bon alla metà del XIX secolo anticipa questo fenomeno nell’opera La folla, studio della mentalità popolare.

       A partire dalla seconda parte del XX secolo l’autobiografia viene incorporata dall’uomo senza certezze che non ha punti d’appoggio esistenziali perché né la filosofia né la religione gli danno ormai sicurezza. Come racconta se stesso questo personaggio? Non è facile individuare la fenomenologia ultima che l’autobiografia assume. Essa persiste come esperienza personale, ma nessuno può garantire che sarà accolta e capita dal pubblico. Chi vuole affidarsi all’autobiografia può farlo, ma è un’esperienza rischiosa che può andare bene o male. La risposta del pubblico può essere di comprensione e solidarietà, oppure di rifiuto.

I personaggi che usano questo mezzo provengono da tutti gli strati sociali: uomini importanti, politici, imprenditori, sportivi, persone di secondo piano, tutti tuttavia sottoposti al rischio del  fallimento.

Un enorme narcisismo connota l’uomo odierno e si travasa nelle autobiografie dei soggetti che affollano il magma sociale. Un gran numero di persone è convinta di avere qualcosa da dire  in forma autobiografica. Ma il genus letterario indossa troppo spesso la veste della vanità. Il sociologo e antropologo tedesco William Graham Sumner in un libro famoso, Folkwais, sostiene che le grandi spinte che guidano l’uomo sono: la fame, il sesso, la vanità, la paura degli spiriti. Dobbiamo riconoscere a Samner il merito di aver visto nella vanità una delle pulsioni  più importanti dell’uomo. La vanità spinge oggi uomini dalla più diversa formazione a rivelare se stessi, a dire chi sono. Ma la comprensione del pubblico nei loro riguardi è tutt’altro che sicura.

Ottobre 2019