Si e’ affermato un capitalismo speculativo, egemonico – Articolo apparso su Italia Oggi il 3 Luglio 2002
Fino alla metà degli anni ’90 era normale attribuire al capitalismo – uscito vincitore dalla sfida col comunismo – un significato positivo. Negli ultimi anni ’90 e nell’avvio del nuovo secolo il giudizio sul capitalismo si è fatto molto più problematico: il concetto di capitalismo è stato associato a quello di globalizzazione ed ha avuto inizio la critica alla politica egemonica USA non solo in campo economico ma anche militare.
Gli anni ’70 del XX secolo sono stati visti da molti come l’inizio di una nuova era nella produzione manifatturiera e di servizio. Iniziava in quel decennio l’epoca postindustriale, caratterizzata dall’inserimento nei processi produttivi di un fattore rivoluzionario, la conoscenza scientifico- tecnica, che diventava il quid senza il quale non era più possibile esistere e competere nel mercato mondiale. Alcuni autori furono considerati i padri di questa interpretazione d’un capitalismo fortemente cognitivo. Il loro capostipite fu Daniel Bell, seguito da Toffler, Touraine, Drucker ed altri. L’influsso che il capitalismo basato sulla conoscenza scientifico-tecnica ebbe sul mondo economico e politico fu enorme. Gli anni ’80, attraverso leaders come Ronald Reagan e Margaret Tatcher, fautori di idee liberistiche, condussero questo tipo di capitalismo a sfidare l’Unione Sovietica e a vincere la sfida planetaria. Fu conseguenziale a tale fatto il crollo del modello collettivistico-statocentrico, praticamente in tutto il mondo. La vasta letteratura che si sviluppò sulla società postindustriale fu una sorta di corollario d’un idea di capitalismo che non si fondava più sull’uso brutale del denaro, ma ricorreva ad un fattore immateriale, l’intelligenza, sostenuta dalle imponenti acquisizioni della scienza e della tecnologia, che negli anni ’70 e ’90 avevano avuto un exploit straordinario.
Ma ecco apparire, verso la fine del XX secolo, una serie di analisi che rivelavano un altro tipo di capitalismo. In generale, anziché sottolineare la componente conoscitiva del capitalismo, esse accentuano quella speculativa, di massimizzazione del profitto, nel quadro di una globalizzazione che accanto a vantaggi, ha riflessi tremendi in termini di povertà, emarginazione, caduta del diritto internazionale ecc..
Alcuni autori tra quelli che si sono occupati di questa “evoluzione” abnorme del capitalismo, hanno dato al problema un contributo concettuale importante. Per esempio il finanziere –filantropo di origine ungherese ma da molti anni trasferito negli Stati Uniti – George Soros – nel libro The crisis of global capitalism. Open society endangered del 1998, ha messo in evidenza le tendenze imperialistiche del capitalismo non tanto in termini geografici quanto di influenza sulla vita della gente; indipendentemente dal contenuto conoscitivo che il nuovo capitalismo dovrebbe portare con sé ed invece trascura. Soros ravvisa la vera nascita del capitalismo globale negli anni ’70, contemporaneamente alla crisi del petrolio. Curiosamente, per Soros gli anni ’70 non sono all’origine del capitalismo fondato sulla conoscenza, ma del capitalismo globalistico. Egli sostiene che è stato il capitale finanziario ad avere la meglio, e con esso le multinazionali; che sono stati i mercati finanziari internazionali a comprimere la sovranità degli stati nazionali. La cosa che interessa al capitalismo attuale, dice Soros, è la caccia al denaro (cioè fare soldi). Nella sua prospettiva, la conoscenza – punto saliente del postindustriale – è del tutto secondaria rispetto alla massimizzazione del profitto. “Un tempo, scrive Soros, i valori non monetari svolgevano un ruolo più importante nella vita delle persone: in particolare, si pensava che la cultura e le professioni fossero governate da valori culturali e professionali e non dovessero sottostare alla logica del profitto. Per capire in che modo il regime capitalistico attuale differisce da quelli che l’hanno preceduto, dobbiamo prendere atto del ruolo crescente del denaro come valore in sé: non è esagerato affermare che la vita delle persone è oggi governata dal denaro in misura maggiore di quanto sia mai accaduto”. Per Soros il capitalismo globale non è affatto coerente con la democrazia: esso si allea con gli interessi economici e li aiuta ad accumulare capitali, non preoccupato del fatto che essi siano o meno democratici.
Questo popperiano convinto, che con le opere e le fondazioni da lui create, auspica l’avvento di una società “aperta”, è dunque indotto a ritenere che il capitalismo attuale sia ben diverso da quello che è sorto dal connubio con la scienza; e che proprio da ciò derivino i suoi gravi difetti. Queste idee sono ribadite nel libro On globalization che Soros ha pubblicato nel 2002. E’ importante tenere presente che il finanziere- filantropo attribuisce in larga parte il fallimento del capitalismo attuale agli errori commessi dalle grandi Istituzioni di cooperazione internazionale come il Fondo Monetario Internazionale, L’Organizzazione Mondiale per il Commercio, la Banca Mondiale e lo stesso ONU: il risultato di questi errori è che non esiste più un ordine mondiale e che i paesi deboli e poveri sono abbandonati a se stessi senza alcuna difesa.
Un altro autore che ha sentito l’esigenza di capire cosa sta accadendo al capitalismo è Walden Bello, docente di Pubblica Amministrazione e Sociologia nell’Università delle Filippine. In una serie di saggi raccolti nel volume The future in balance del 2001, Bello concentra la sua analisi sulla crisi delle economie asiatiche negli anni ’90 e sull’atteggiamento egemonico USA in favore del capitale speculativo; che avrebbe portato alla caduta di quelle economie che rappresentavano un capitalismo integrato e assistito dallo stato. “Il potere della grande impresa rappresenta una dimensione del potere statunitense” dice Bello. Egli sottolinea altresì che il nuovo capitalismo ha dimenticato di favorire la democrazia, bastandogli stabilire il proprio dominio indipendentemente dalla natura democratica o meno dei sistemi politici in cui si attesta, con la conseguenza che sono stati protetti regimi illiberali come le Filippine, il Pakistan, il Brasile ecc..
Ecco allora la proposta di questo autore: realizzare un ordine alternativo (rispetto a quello che si è imposto negli anni ’90) creando istituzioni capaci di subordinare il mercato alla società, e di dare una risposta concreta ai due drammatici problemi che il capitalismo sta portando a livelli insostenibili: il problema della povertà, che ormai affligge gran parte del mondo, e quello della tutela ecologica del pianeta, dal quale dipende l’abitabilità della Terra nei prossimi decenni.
Parecchi altri autori hanno affrontato il tema: quale capitalismo? con l’intento di chiarire al grande pubblico che è in corso una trasformazione di quest’ultimo, il cui corso sembra far prevalere un capitalismo speculativo, affaristico, egemonico, su una forma di capitalismo produttivo, legato ai progressi della scienza e attento ai bisogni dei ceti disagiati. Vorrei occuparmi di questi autori in articoli successivi. L’argomento è infatti di grande peso, e strettamente legato alle prese di posizione dei movimenti no – global, la cui prima manifestazione incisiva, a Seattle, risale al 1999.
Un punto va tuttavia evidenziato fin d’ora, un punto che corrisponde alla domanda: è il capitalismo speculativo, affaristico, egemonico, compatibile con l’idea che la conoscenza scientifica è divenuta un mezzo di produzione essenziale? E’ compatibile con l’espansione d’un ceto nuovo, i “lavoratori della conoscenza” che sono la base umana di un capitalismo integrato con la scienza e con la cultura?
Quali conseguenze comporta il capitalismo che sembra espandersi sotto i nostri occhi con grande vigore, nel suo rapporto con le forze che hanno bisogno di cultura, perché vivono di professione, insegnamento, ricerca, applicazione alla vita quotidiana dei prodotti del sapere?
E’ un problema di grande spessore che esige una risposta.