Il dogmatismo religioso è dei paesi non sviluppati

Il dogmatismo religioso è dei paesi non sviluppati – Articolo apparso su Italia Oggi il 24 Ottobre 2001

La tragica giornata dell’11 settembre ha avuto, oltre a importanti conseguenze  sull’equilibrio strategico tra grandi potenze, un effetto chiarificatore sul fenomeno  religioso quale si presenta in questo inizio di secolo. Essa ha lumeggiato  col suo stesso accadere la differente situazione in cui si trovano le religioni dogmatiche nei paesi ove l’industrialismo si è affermato e in quelli in cui quest’ultimo  è  assente. La nascita e lo sviluppo dell’industria: di questo si tratta. Tale fattore, ovunque si è prodotto, ha determinato il graduale distacco della gente dalla credenza nella salvezza eterna, e creato costumi affatto incoerenti con l’antica  prospettiva dell’aldilà.

Tenuto presente che la società industriale è cominciata nella prima metà del XIX secolo, solo in alcuni paesi europei, per estendersi poi all’America del Nord e in un momento successivo al Giappone e a poche altre aree del mondo –  ci si può rendere conto del perché oggi – a proposito di religioni – l’insieme delle società si è  scomposto in due parti, legate rispettivamente all’occidente (e propaggini) e al resto del mondo. Dove il fenomeno industriale ha prosperato, il controllo della religione sulla società   è in gran parte caduto: ciò è avvenuto nei paesi occidentali e in quelli che li hanno seguiti nello sforzo di creare l’industria. Negli altri, la religione ha in genere mantenuto e talvolta accresciuto il proprio potere. Nei paesi in cui l’economia primaria (basata sull’agricoltura e lo sfruttamento del suolo) è stata soppiantata dall’economia manifatturiera, le religioni dogmatiche hanno dovuto assistere al dilagare d’uno scetticismo che ha portato alla valorizzazione piena e spesso ostentata della vita terrena; in quelli la cui economia è rimasta sostanzialmente primaria, sono sopravvissute tendenze ascetiche  basate sulla trascendenza, spinte talvolta fino al punto di sacrificare la vita per una qualche prospettiva ultraterrena.

I fatti di settembre hanno rivelato con molta evidenza questa spaccatura: da un lato i contesti industrializzati ormai sostanzialmente indifferenti alle “verità” religiose; dall’altro quelli rimasti alla fase preindustriale legati ancora  in larga parte a tali verità e spinti in vari casi a esasperarne i contenuti e ad accettare  pazzeschi itinerari di autodistruzione.

Un grande problema esistenziale sta avendo, nei due contesti, risposte antitetiche: il problema del senso. Senso, uguale “direzione della vita” circa le maggiori finalità aperte all’uomo. Una volta le religioni dogmatiche erano tipiche dispensatrici di senso, dicevano cioè agli individui in quale direzione essi dovevano andare, a quali valori dovevano credere.  La cultura industriale, e ancor più quella postindustriale – succeduta alla prima a partire dagli anni ’70 – ha detto agli individui che ciascun uomo può scegliere  le mete fondamentali secondo il proprio giudizio. Perciò queste culture hanno privato i rappresentanti ufficiali delle religioni dell’antico potere di imporre a tutti i fondamenti delle credenze e le direzioni del comportamento. Nei  paesi  occidentali, i sacerdoti, i vescovi, i cardinali, il pontefice hanno dovuto a poco a poco abbandonare il potere di direzione politica e persino etica della società, pur mantenendo un non trascurabile potere di consiglio: la politica, sia pure a fatica, ha potuto rendersi indipendente dalla religione, nonostante i ripetuti tentativi delle istituzioni religiose di mantenerne la supervisione. In fatto di morale la gente si è regolata  secondo convinzioni, bisogni e interessi personali assai più che in base a precetti trascendenti.

Nei paesi non sviluppati, invece, le autorità religiose hanno mantenuto l’antica prerogativa d’imporre agli individui che cosa devono fare, anche per quanto riguarda gli aspetti più intimi, e preteso di controllare la vita politica.  Quest’ultimo fatto è apparso chiaro a tutti  dopo l’ascesa al potere dello ayatollah Khomeini in Iran, nel 1979;  hanno cominciato allora a costituirsi i nuovi regimi teocratici; essi si sono ritagliati una tipologia inconfondibile, contrapposta non solo ai paesi occidentali, ma anche ai contesti religiosi in cui un’ élite militare  manteneva il potere politico. Da quel momento si è prodotta  una contrapposizione insanabile tra la democrazia come la intendono gli occidentali e il dominio delle élites teocratiche,  un distacco sempre più radicale tra il fondamentalismo giunto ormai ad essere stato e le società in cui le religioni  hanno perduto il tradizionale potere.

E’ importante notare che nel mondo industrializzato si è rapidamente diffusa, nella seconda parte del XX secolo, una domanda chiave: sono o non sono fondate le “verità” enunciate dalle religioni dogmatiche, quelle in particolare  che riguardano l’aldilà, la vita eterna e concetti simili? Nelle società industrialmente avanzate ciascuno ha potuto rispondere come voleva a questa cruciale domanda, e la letteratura, lo spettacolo, la televisione, ecc.. hanno ammesso una grande  varietà di risposte. In quelle dove la religione è  al potere, la cruciale domanda è stata bloccata, e le poche risposte non conformistiche – dovute a qualche intellettuale, spesso esule dai luoghi di origine – sono state duramente avversate, o punite. La domanda  mantiene tuttavia  un posto centrale nella cultura mondiale,  costituisce con il suo stesso porsi la prova della decadenza cui sembra destinata tutta la mentalità dogmatica, col suo approccio totalizzante e  gli aspri costumi che ne derivano.

E’ possibile che l’aprirsi delle società tuttora dominate dalla religione alla mentalità occidentale –  che si verificherà, speriamo, sulla scia dei tragici avvenimenti che hanno colpito l’America – produca il declino irreversibile del dogmatismo religioso in qualunque ambito esso si manifesti, e a maggior ragione anche dei residui di esso che  serpeggiano tuttora  nelle stesse culture occidentali.

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