Scontro aperto tra scienza e capitalismo speculativo – Articolo apparso su Italia Oggi il 20 Luglio 2002
Il rapporto del capitalismo con la scienza subisce un’ impennata memorabile negli anni ’70 del XX secolo. Inizia in quel decennio, in quasi tutti i paesi occidentali, la cosiddetta società postindustriale, in cui la conoscenza scientifica assume un ruolo essenziale per tutti i processi produttivi. Il momento è accompagnato da una fioritura di scoperte e applicazioni scientifiche che rende reale e concreto il connubio tra produzione e sapere. E’ l’ epoca in cui viene introdotta la miniaturizzazione dei circuiti basati su una lamina di silicio (chip) grazie all’invenzione d’un microprocessore di seconda generazione effettuata da tre ricercatori della Intel, tra i quali l’italiano Federico Faggin, nel 1971; è l’ epoca che vede lo sviluppo dei computer, della robotica, dei primi passaggi applicativi della biologia molecolare.
S’ instaura da allora una simbiosi tra capitalismo e scienza che rivela un fenomeno nuovo: per la prima volta il capitalismo viene condizionato da un potere diverso dal proprio. In altre parole da allora in avanti sarà difficile concepire una produzione qualsiasi che non abbia bisogno, per sussistere e durare, di una dotazione conoscitiva di tipo scientifico. Accanto al capitale ecco il know how; accanto ai soldi le nozioni scientifico – tecnologiche che dicono come fare cose nuove e di conseguenza aprire nuovi mercati. Ciò significa in larga misura derivare prodotti da campi scientifici prima non esplorati. Anteriormente non era così.
Questa accoppiata non fu effimera. La scienza continuò infatti nel proprio exploit costringendo il capitale a seguirla. Negli anni ’90 si ebbe un secondo momento creativo della scienza. Questa volta tennero il campo la biologia, la genetica, le biotecnologie, le cellule staminali, le nanotecnologie e così via; un insieme di scoperte e invenzioni in grado di soddisfare bisogni umani che un tempo non trovavano risposta. La scienza dimostrava coi fatti (osservazioni, indagini, ritrovati) di essere indispensabile al capitalismo.
Il legame tra capitalismo e scienza, partito in tale maniera negli anni ’70, divenne nei decenni successivi fino alla fine del secolo, una sorta di gemellaggio indissolubile. Oggi è impossibile pensare allo sviluppo del capitalismo senza far affidamento sui progressi della scienza: perciò nei paesi che hanno compreso la necessità d’incrementare senza soste lo sviluppo scientifico, la ricerca è tenuta in palmo di mano e si fa di tutto per avere nei laboratori i migliori cervelli. In pratica, i cicli innovativi dipendono in larga misura dall’avanzamento della scienza. Se quest’ ultimo si fermasse per un tempo considerevole, l’ innovazione come istituto sociale subirebbe un rallentamento inesorabile, con danno grave per tutta l’ economia.
Non si era mai visto che il capitalismo nel suo sviluppo fosse seriamente condizionato da un fattore esterno a se stesso. Con l’ avvento del postindustriale questo condizionamento diventava reale. Che cosa sarebbe oggi il capitalismo se non vi fosse un flusso continuo di contributi intellettuali? Dove finirebbe l’ innovazione (che Alvin Toffler in Future shock del 1970 intuiva essere il segno della nuova era) se la scienza non producesse di continuo nuovi mezzi di comunicazione, farmaci adatti a curare le malattie, molecole inedite, indagini ed esplorazioni del cosmo, e così via? Un capitalismo statico e tradizionalista non esiste più. Né può esistere un imprenditore che s’ ispiri veramente al tradizionalismo. In realtà la scienza ha sconvolto il capitalismo. Il sistema sociale può essere dinamico perché è la scienza che lo rende tale. I saperi, modificandosi e cumulandosi, bruciano e rendono desueto l’ esistente.
Era prevedibile tuttavia che un certo numero di esponenti del mondo capitalistico non accettasse questo singolare stato di cose. Il capitalismo ha due facce: la faccia produttiva e la faccia speculativa. Dire cos’ è la prima è abbastanza facile: si tratta del capitalismo che “produce” qualcosa, anzi qualcosa di nuovo, una sostanza, un manufatto, una nave, un aeroplano, e così via. Dire cos’ è la seconda è più difficile, perché molte sono le attività che possono dar luogo ad arricchimento pur senza produrre nulla: giochi di borsa, acquisto di aziende decotte comprate per poco e rivendute per molto, spionaggio industriale, attività parapolitica, truffe mascherate da performances benefiche, vantaggi ottenuti con la corruzione, ecc.. Si fa evidente la distinzione tra l’ “imprenditore” e l’ “uomo d’ affari”, lo “speculatore”, il “profittatore”, l’ “intrallazzatore” e simili. Il primo è un individuo dalla cui attività deriva effettivamente un bene o un servizio; gli altri, sono coloro che incassano un guadagno per vie tortuose e talvolta criminali, senza produrre nulla. La distinzione è d’ importanza cruciale nella fase presente del capitalismo.
Essa ci fa capire cos’ è avvenuto attorno gli anni ’90; una sorta d’imbarbarimento del capitalismo, pur in presenza d’una eccezionale fioritura della scienza. Nel quadro d’ una strategia messa in atto da quei capitalisti che intendono la propria attività non in un senso innovativo -produttivistico ma solo come guadagno a tutti i costi. Il Presidente Bush ha fatto recentemente appello all’esigenza di un’ “etica del capitalismo”. A quale capitalismo si riferiva? Da quale capitalismo derivano i comportamenti scorretti che il Presidente ha lamentato? Al secondo tipo di capitalismo, che specula in borsa, altera i bilanci, collude con la politica, fa inside trading, ottiene facilitazioni indebite, se ne infischia del territorio, specula sui paesi poveri e così via. L’ammonimento di Bush ha quanto meno il significato d’una presa d’atto che accanto al capitalismo buono ve n’è uno spregiudicato, corrotto e fraudolento.
Quale atteggiamento ha assunto questo secondo tipo di capitalismo verso la scienza? E’ semplice: la considera come uno “strumento” mediante il quale è possibile realizzare grandi guadagni, ma le nega in realtà ogni valore nel processo produttivo. Sull’ onda di tale atteggiamento si è formato un capitalismo finanziario che ha ripudiato l’ idea base dell’ economia postindustriale, essere la conoscenza il principio assiale della produzione. Oggi, all’inizio del XXI secolo, esiste uno scontro tra le due forme di capitalismo, quella che rispetta la scienza e quella che considera quest’ultima un puro e semplice mezzo per manipolazioni di vario genere intese ad arricchire qualcuno.
Qual è dunque la scena del capitalismo nei rapporti con la scienza in questo inizio del nuovo secolo? Vorrei sintetizzarne il senso con un’ espressione pittoresca: capitalismo e scienza sono divenuti amici / nemici. I due termini possiedono una pericolosa ambivalenza, dalla quale può derivare tanto la loro effettiva integrazione quanto una guerra sotterranea con cui ciascuno si muove contro l’ altro. Tradotto in pratica ciò significa che nei prossimi decenni sono possibili sbocchi diversi: che lo spirito del postindustriale sia mantenuto e la scienza conservi il posto di fattore essenziale nella produzione; che il capitalismo speculativo riesca ad incapsulare la scienza portando avanti la strumentalizzazione di quest’ ultima; che, ancora, la scienza riesca ad organizzarsi, a livello dei suoi esponenti e delle sue strutture, al punto di far sentire il proprio peso sul capitale finanziario, dettando a quest’ ultimo le proprie regole; che si formi un qualche imprevedibile intruglio di attività economiche e scientifiche, di cui non è dato per ora conoscere i caratteri, né dire come sarà concretamente definito.
La fenomenologia degli “amici / nemici” sembra accompagnare l’ inizio del secolo. Il confronto è aperto, e quest’ ultimo costituirà forse uno dei più delicati e interessanti spettacoli del XXI secolo.