Imprese e concorrenza cinese

Imprese e concorrenza cinese. Un modello al capolinea – Articolo apparso sul Corriere del Veneto l’8 settembre 2004

Due importanti avvenimenti hanno segnato a fondo l’anno 2003: l’attacco angloamericano contro l’Iraq e l’esplosione non più contestabile della sfida economica cinese.

Essi hanno provocato, oltre a enormi ripercussioni di politica internazionale, l’eclissi del modello imprenditoriale comunemente accettato, facendo sorgere l’esigenza di un nuovo tipo di imprenditore. E’ apparso chiaro che la figura imprenditoriale che si era affermata negli ultimi due decenni del XX secolo non poteva reggere alle sfide del XXI secolo. Si profilava sul piano pratico una situazione pericolosa: per rientrare tra i veri produttori non bastava più gettare sul mercato qualsiasi manufatto o servizio, diventava necessario realizzare manufatti o servizi dotati di qualità scientifico-tecnologiche o creative molto più avanzate di quelle dei concorrenti.

La sfida cinese rivelava che la grande nazione asiatica non si era lasciata distrarre dal gioco di potenza che gli USA avevano fatto proprio; ma, valorizzando la possibilità di sviluppo di quella scienza che molti credevano appannaggio esclusivo degli USA, aveva impostato la propria azione sull’avanzamento scientifico e sulla creatività.

Si rivelava d’improvviso l’inadeguatezza dell’imprenditore che aveva puntato non tanto sulla conoscenza e le idee quanto sulla facile conquista di mercati secondari, sull’astuzia strategica, su doti umane volitive più che intellettive. Questo tipo d’imprenditore si trovava di fronte a scienze e tecnologie applicate da un grande paese (di un miliardo e trecentomila abitanti) sommate a una illimitata voglia di lavorare anche a basso costo.

Si profilava d’altra parte, anche da noi, la rivincita dell’imprenditore professionale e creativo che si poneva in alternativa a quello tradizionalista affidato a vecchi, rassicuranti metodi di concorrenza commerciale, e dimentico dei nuovi campi del sapere e delle nuove opportunità produttive.

Eccolo allora l’imprenditore (Veneto e di altre parti) subire l’urto d’una immagine imprenditoriale emergente. E nel momento in cui egli sognava la quiete dopo la lunga battaglia, e di potersi godere in pace i propri guadagni, ecco apparire sul ring dell’economia il suo omologo cinese, che lavora sedici ore al giorno e mostra una voglia di fare (e di sopraffare) dieci volte maggiore di quanta ne avesse lui ai suoi esordi.

C’è qualcosa di patetico in tutto ciò. Nelle regioni del miracolo economico molti tycoon di ieri si trovano di fronte alla combinazione scienza-volontà di lavorare dei cinesi, e non sanno come reagire. Si manifesta più che vero anche per gli arrivati il detto “gli esami non finiscono mai”. Ed è difficile da digerire.

Mentre vent’anni fa l’imprenditore (occidentale) aveva di fronte uno scenario di lotta economica piuttosto facile, ora lo scenario è diventato difficilissimo. Egli è costretto a pensare “quelli ne sanno più di noi”; “sono più abili e volonterosi di noi”.

Anche l’imprenditore vecchio stampo dovrà accettare il modello professionale – creativo che, dovunque applicato, si manifesta vincente. Così evolve l’economia, così nascono di tempo in tempo nuove classi di operatori, e bisognerà assimilare questa penosa ma inevitabile prospettiva.

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