LA VECCHIAIA, IERI, OGGI E QUANDO LA DURATA MEDIA DELLA VITA SARA’ DI 100 ANNI

Com’ è noto la vecchiaia è stata oggetto di riflessioni da parte di molti autori. Se si da un’occhiata alla letteratura occidentale si trova che la vecchiaia è stata considerata nella quasi totalità dei casi come un periodo non desiderabile, triste e avvilente, nonché foriero d’inevitabili sofferenze. Pare che i lirici greci del VII e VI secolo a.C. abbiano inaugurato efficacemente siffatta opinione, giungendo a una conclusione che si può riassumere così: è meglio morire giovani e muore giovane chi è caro agli dei. Quei poeti  vissero in un periodo storico aspro e pericoloso; quello che vide numerosi tiranni prendere possesso in Grecia del potere politico e perseguitare coloro che si opponevano alla loro volontà.  Si può indurre che a spiriti liberi com’erano i poeti sembrava meglio uscire dal mondo piuttosto che subire le persecuzioni dei tiranni. La situazione politica implicava dunque un giudizio negativo sulla vita nel suo complesso. Tra quei lirici uno si distingue per la perentorietà del giudizio sulla vecchiaia. Il suo nome è Mimnermo di Colofone, vissuto tra il VII e il VI secolo a.C. Il pensiero di questo lirico si può cogliere nella poesia Come le foglie di cui riporto il testo nella traduzione di Salvatore Quasimodo

Al modo delle foglie che nel tempo
fiorito della primavera nascono
e ai raggi del sole rapide crescono,
noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell’età,
ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dèe ci stanno a fianco,
l’una con il segno della grave vecchiaia
e l’altra della morte. Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza,
come la luce d’un giorno sulla terra.
E quando il suo tempo è dileguato
è meglio la morte che la vita.

Il duro giudizio di Mimnermo è solo parzialmente corretto dai maggiori autori latini che si sono occupati dell’argomento, Marco Tullio Cicerone e Lucio Anneo Seneca. Il primo, nel 44 a.C., poco prima della morte, scrive Cato major de senectute. L’opera a forma di dialogo tra uomini illustri del tempo riguarda Catone il Censore. L’etica sottesa è lo stoicismo. Sostiene che la vecchiaia va “sopportata” con tutti i suoi guai con coraggio e dignità. Seneca scrive De brevitate vitae verso il 49 a C., nel periodo successivo all’esilio in Corsica subìto dal filosofo. Il tema di fondo di Seneca è che data la brevità della vita non bisogna sprecare il tempo che ci è concesso ma utilizzarlo con impegno e cura. Secondo Seneca la vecchiaia va vissuta coraggiosamente e utilmente nonostante i guai che infligge all’uomo.

Le cose non vanno meglio per autori che consideriamo moderni. Basterà ricordare come la vede Shakespeare in As you like it, dove il drammaturgo descrive le sette età dell’uomo. Nell’ultima, la vecchiaia è descritta come un ritorno abnorme all’infanzia, segnato da insensibilità, oblio, perdita dei denti, degli occhi e del gusto, voce tremante, gambe rinsecchite, incapaci di camminare. Nell’età romantica abbiamo il crudo giudizio di William Butler Yeats, secondo il quale il vecchio non è che “un relitto umano, un abito a brandelli appeso ad un bastone, un individuo che non serve più a nulla a meno che non reagisca eroicamente a tale condizione”.

Un mutamento radicale delle idee sulla vecchiaia si ha verso la fine del XX secolo, un periodo storico che per le novità che introduce non cessa anche oggi di stupirci. Viene in piena evidenza in quel periodo l’allungamento della vita reso possibile dalla scienza e si prende coscienza che questo  importante evento modifica l’idea stessa di vecchiaia. E’ il caso di notare che in quest’epoca appare un cluster d’innovazioni sociologiche, economiche e culturali già evidenti alla fine del  secolo ma esplicitate più chiaramente nel nostro XXI sec. Oltre al prolungamento della vita, si nota la difficoltà di dare lavoro a tutte le persone disponibili a causa dell’intelligenza artificiale, della robotica, dell’automazione, ecc.; la parità uomo-donna promossa dai movimenti femministi e simili; l’apparizione d’un’etica che abbandona il pessimismo per aprirsi all’apprezzamento dei doni offerti dalla vita (ricordo sul tema le opere dello psicologo evoluzionista canadese Steven Arthur Pinker  il quale sostiene che la vita attuale è migliore di quella del passato e che la violenza nelle società umane è costantemente diminuita nel tempo e rivaluta il concetto di ottimismo, in aperta contrapposizione ai molti pessimisti del nostro tempo); il peso assunto dalle idee di creatività e di innovazione che trasformano la produzione in un senso del tutto non rituale; la concezione per cui ogni uomo deve realizzare la propria personalità anche al di fuori del lavoro che gli procura da vivere; eccetera. Sono tematiche interrelate, molto più di quanto sia possibile comprendere oggi. Tra tutte a me pare che il prolungamento della vita indotto dalla scienza sia di particolare importanza e possa condurre ad una rivoluzione esistenziale, sociale ed economica assai notevole.

Non è difficile immaginare fin d’ora che, tra qualche decennio, la media temporale  della vita umana tocchi il secolo, o più. Quali saranno le conseguenze di tale conquista? Quali le ripercussioni psicologiche ed etiche? Quali i mutamenti nei rapporti fondamentali che ogni individuo  stabilisce con i suoi simili, l’uomo con la donna, l’individuo con la società? Alcuni di questi mutamenti sono già ben visibili. Uno salta agli occhi: l’amore in tarda età, la frequenza con cui si danno grandi differenze di età tra i partner del rapporto amoroso. Sempre più spesso tale dislivello appare normale, mentre un tempo sembrava aberrante. Ho rivisto il film di Giuseppe Tornatore La corrispondenza (2016) nel quale si vede l’amore tra un anziano professore di astronomia o cosmologia e una giovane allieva, seguito dalla morte di lui e dai messaggi postumi che il professore fa pervenire mediante un metodo ingegnoso all’affranta e stupita amante. Il film presenta la differenza di età e di status come un fatto del tutto normale nella vita del nostro tempo. Il superamento di tutti i rapporti giuridico-formali nei legami affettivi è ormai invalso. Nessuno di tali legami, un tempo pesantissimi, può fermare l’attuazione concreta d’un rapporto d’amore quando questo sia veramente sentito dai protagonisti.

I problemi sociali e psicologici che l’allungamento della vita sta provocando sono di grande entità. Quando gli individui avranno la ragionevole speranza di vivere almeno cent’anni, quale sarà la loro idea della condizione umana? Non è impossibile che approdino al concetto che data la sua profondità temporale la vita è più godibile, le sue offerte più allettanti, le sue prospettive più rosee. Può darsi che in tale visione della vita rientri anche la morte la quale potrebbe diventare “accettabile” dopo un così lungo vivere, tanto sarà il tempo in cui l’itinerario esistenziale avrà modo di esplicarsi. Quale sarà la visione dell’amore e della felicità quando ogni individuo potrà pensare: ho davanti a me cent’anni da vivere, da riempire con  i doni che la natura e la società mi mettono davanti come fossero un invito al piacere di vivere, alla ricchezza dei sentimenti?

Gian Paolo Prandstraller

Febbraio 2018